Trent'anni dopo

Itinerario pittorico dal 1993 al 2008 a cura di Ivo Prandin

"Oggi rimane in me quel credo." (l.b.)

Il pittore Luciano Buso, c1asse 1954, trevigiano originario delle alture boscose nella parte nord della Marca gioiosa, e oggi vivo e operante nel territorio della Regina Cornaro, ha iniziato a dipingere professionalmente trent'anni fa, nel 1977, quando la sua vena giovanile (disegnava e colorava già in collegio) si è rivelata incontenibile e bisognosa di uno sbocco creativo. Da allora, vivere e dipingere sono stati per 1ui una stessa necessità. L' anniversario - ricco di ricordi, di incontri, di nostalgie - è anche occasione per farci riscoprire 1a sua "vita con la pittura" che l'autore veneto ha mantenuto e arricchito in costante dialogo con la tradizione culturale di questa regione generosa di bellezze ambientali e di un grande patrimonio d'arte. Dagli anni Settanta del '900, ogni giorno Luciano lavora al cavalletto, ed è come se scrivesse con i pennelli e i colori del1a vita e della fantasia gli amatissimi paesaggi entro i quali ha trascorso ogni fase della propria vita. Si tratta di luoghi veri, reali, che sono da sempre lo scenario fisico e emotivo in cui è concentrata, empaticamente, tutta 1a sua esistenza; luoghi che, per lui - volendo dirla con James Hillman - "hanno memoria", o meglio ancora, "hanno un'anima". Lo studio che Buso predilige, il laboratorio più congeniale al suo lavoro di pittore è il paesaggio stesso: il plein air lo mette in rapporto / sintonia direttamente con il suo "motivo" che peregrinando incontra dall'alba al tramonto, come dire di luce in 1uce. Questo contatto fisico, questa relazione "sensoriale" del pittore con l'ambiente è per molti artisti - e specificatamente per il nostro - una esigenza insopprimibile. Le suggestioni immediate si fondono, allora, in un'unica visione, e viene spontaneo pensare ai vapori sulle pendici di un colle boscoso per salire in cielo dove diventano paesaggio di nuvole. In quegli incontri ravvicinati, in quei momenti di autentica comunione con la Natura, la realtà che Luciano ha davanti incomincia a lievitare. E' questo un fenomeno psicologico perchè quel dipinto che nasce sotto la pressione del reale è alimentato da una forza irreale, dai ricordi del pittore, e in questa fusione di materiale e immateriale l'opera d'arte cresce come rimembranza: adesso e ieri non sono più separati e lontani ma fusi e sulla tavola: la realtà e il ricordo di com'era, 1a luce del paesaggio sotto il sole e l'altra luce, quella invariabile della memoria. Questo è accaduto e accade ogni giorno, da una stagione all'altra, con la costanza, la perizia e l'amore di un uomo che costruisce con l'arte, con pennellate di esatta lunghezza e vibrazione, i propri "debiti emozionali" nei confronti della terra di origine.

Proprio nel suo filiale rapporto con la terra, con le ondulate campagne e i boschi de1la Marca - come è stato autorevolmente scritto - si colloca il suo modo di far pittura che, con piccole ma significative variazioni, ha arricchito il suo modo poetico fino a questo compleanno artistico. Come ci ha creduto allora, ci crede oggi; anzi, parole sue "con un aumento di amore". Questi tre decenni di fedeltà  all'ambiente originario, maternale direi (perchè "la Natura ti dà"), e alla pittura che lo esprime nella sua varietà umana e fisica, sono stati vissuti con un fervore che direi religioso e inossidabile: oggi, tutto in questa pubblicazione rievocativa di un percorso invidiabile, di fedeltà e di passione.

Le cronache d' arte del nostro tempo, che è ancora nei suoi effetti il XX secolo, sono sempre state riempite con parole o concetti in contrapposizione come realismo e astrattismo, figurativo e con: cettuale ecc. Ma la pittura, - come la poesia, del resto - è di natura piuttosto complessa, è una realtà sfaccettata, un prisma dalle tante facce o superfici e dunque contiene in sé una varietà di forme e di "filosofie". Questo consente 1a presenza di talenti diversi, di sensibilità più o meno forti, di culture differenti di esprimersi senza uscire dall'alveo dell'Arte che ha origini remote (preistoriche diciamo) e tuttavia continua a creare immagini e suggestioni in ogni epoca. Luciano Buso, in questo panorama di espressioni cangianti, si è attestato come una vedetta sul crinale dell'arte figurativa e là rimane con la sua schietta poesia: nel grande filone del realismo, "nella luce della realtà".

Detto questo, la cosa migliore da fare, se si vuole capire quest'uomo e questi trent'anni di pittura, è fermarsi davanti ai suoi lavori per ritrovarvi anzitutto le motivazioni - o l'ispirazione, , come si sarebbe detto qualche tempo fa. Ebbene, questo uomo delle colline e dei boschi profumati dipinge sempre ciò che ha vissuto: in altre parole, egli rivive nella pittura l'ambiente dell'infanzia che non ha mai dimenticato: orizzonte ondulato di montagne e col1i, borgate che un poeta ha definito in questo modo: "Un pugno di semplici case, / e intorno i campi / addolciti da11a rugiada", e poi torrenti, mucche al pascolo, scorci pittoreschi, cieli squillanti di azzurro o nascosti da nuvole luminose che sotto l'impeto del sole si aprono in voluttuosi abissi di un rosa carnale. Un altro poeta veneto ha ben percepito questa meraviglia naturale d, ella sua teRa quando ha scritto che ''par che se sbrega el cielo / "pena che vien matina": In effetti, la lingua veneta esprime benissimo l'atmosfera di questa pittura in tante poesie che sono autentici paesaggi di nostalgia, o di memoria "che gà el granaro pien". Pieno di cosa? Di storie, naturalmente, fra cui la sua.

Il fatto è che Luciano ha vissuto la montagna e continua ad amarla; il 1egame con questo territorio familiare e con l'umanità che la vive e la governa / coltiva non si è mai interrotto. Anzi - cre- scendo lui in età e in esperienza, cioè conoscenza di vita - ai sen- timenti del ragazzo, frutto di una sensibilità ancora ingenua, si è aggiunta la maturità, ne1 senso di una cultura e di una consapevo- lezza che riconosce nel nostro habitat un grande valore. E qui possiamo richiamare sicuramente il valore della bellezza che è forse da mettere al primo posto, se si vuole; ma anche que11'altro, diventato oggi anche bandiera di chi sente la pressione dell'emergenza ecologica: il valore umano e civile di quel patrimonio fisico e culturale che spesso - con superbia - consideriamo come semplice sfondo e appendice alle nostre orgog1iose attività di dominatori del pianeta, ai nostri profitti, al nostro consumismo. Oggi l'artista è lontano da quel Luciano che andava con fatica e curiosità - portando la gerla in spalla - attraverso i boschi del Cesen, misurando il suo passo su quello del padre. Andavano a raccogliere brise da vendere al mercato - e non erano poche ore, come si potrebbe pensare - ma giorni e notti. Lui sapeva leggere il bosco come altri leggono un libro illustrato, e ancora oggi sa imitare le voci degli uccelli e sa distinguere ne11'ombra del sottobosco le orme dello stambecco. Il Luciano di tanti anni dopo ricorda, rievoca, sogna "un sogno necessario", e ricompone un tessuto, un arazzo di immagini rimaste stampate nella mente e nel cuore. Sa che i luoghi da lui amati, quelli animati e trasfigurati dalle leggende e dal lavoro degli uomini sono qua e là "andati" cioè perduti, e i vuoti che lasciano feriscono il cuore. Fino a quando si continuerà a ferire la terra? Lui cerca di fermare lo scempio, e lo fa proprio con i suoi quadri che diventano poetici manifesti per un progetto di salvezza, di salvaguardia. Andando, nostalgico vagabondo che ripercorre i sentieri dei boschi e del tempo, lui cerca e trova spesso intatti i paesaggi che trattengono filamenti de1la sua vita. "Se qualcuno dice che la mia è una pittura fuori dal tempo, allora sono fuori anche io" dice Luciano, ripensando ai suoi primi trent'anni da pittore. Sa che la sua opera piace, sa che dipinge emozioni "a1la vecchia maniera", quelle che i collezionisti condividono. C'è, in fondo, uno scambio di sentimenti tra l'autore e lo spettatore. Quello che Buso dipinge è il suo mondo, la sua è una pittura in cui esprime i1 suo vissuto: ma proprio per queste caratteristiche è sentita nell'identico modo dagli altri. E non soltanto gli italiani, come testimonia per esempio un medico americano - il dottor ROBERT KREBS di Chicago - che ha acquistato a Fiesole la Casa Buonarroti dove tiene esposto un "Paesaggio di Possagno" del 1997.

Gli inizi li ricorda senza patemi - il trentennale porta a questa evocazione - però sono stati duri. Luciano ricorda di aver vissuto intensamente, con fatica, "1a gavetta di un autodidatta", ma anche di essere cresciuto maturando nel magico abbraccio della Natura. Certo "anche nel 2007 la pittura per me è sempre colore, 1uce, emozioni", ma nei suoi dipinti si nota uno sviluppo della tecnica che rispetta una esigenza nuova, quella della sintesi, quasi ci fosse in 1ui l'esigenza di un risparmio di energia, di dare essenzialità alle immagini, di "metterci più coscienza che realismo: Dice, infatti, con orgoglio: "Non mi sono più perso nei dettagli". In effetti, si nota oggi la rinuncia ai troppi particolari che dalla realtà passavano nei suoi dipinti, mentre c'è un arricchimento della materia, cioè dei colori, che rende ogni opera simi1e a un ricordo, a impressioni che l'immediatezza del tocco - senza co_ezioni o ripensamenti - rende vibranti. In questa fase nuova di creatività, diventano importanti i bozzetti, opere compiute in sè e dunque autonome. Le pennellate veloci, non placide e distese come nelle grandi tele, ma nervose, gli consentono - e ama raccontarlo - "di non perdere l'attimo della luce". Così la realtà è meno raccontata e più suggerita, le stesure sono veloci, meno insistite ("il pennello scatta e non torna" perchè a lui importa la resa della luce e la qualità dei colori "in quel momento". I quadri nati là, su un prato, sono figli anche dell'ambiente.

La natura è come l'infanzia e poiché ogni luogo parla da sé, Luciano sa ascoltare e sa vedere (non solo guardare). Allora tutto è paesaggio, da cielo alla terra, tutto è vivo e ha senso. La pittura diventa il racconto di quell'infanzia e dello stupore di un ragazzo che l'uomo non ha mai dimenticato o perduto. In fondo, il segreto di Luciano Buso - se di segreto si può parlare - è tutto qui, in un sentimento profondo di appartenenza alla Natura di cui sa vivere le stagioni e i "miracoli", come l'acqua che scorre, la neve che si indora al tramonto, le nuvole trafitte di una luce d'azzurro, i cespugli dalle foglie tremanti e anche i bonsai, creature di Luciano che li lavora come fossero cugini dei dipinti: finezze di una sensibilità  mai arrugginita. Anche l'altra sua attività, allora, quella di restauratore di opere antiche e moderne assume un preciso significato e completa la sua personalità: restaurare significa recuperare, cioè salvare dal degrado e dal_estinzione, dunque,è sicuramente un atto d'amore, un gesto civile che porta al1a salvezza di un patrimonio. La pittura, per concludere, in questo devoto alla Natura è come testimonianza dei luoghi, e dunque anche documento a futura memoria.

Mestre, 1 Ottobre 2007